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Stampe e ristampe: il suono del vinile
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    Stampe e ristampe: il suono del vinile

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    Stampe e ristampe: il suono del vinile Empty Stampe e ristampe: il suono del vinile

    Messaggio Da Bertox Ven Feb 25 2022, 17:26

    Tchaikovsky, Symphony No.6 in B minor, Op.74, Lorin Maazel conducting the Vienna Philarmonic Orchestra.




    Stampe e ristampe: il suono del vinile Unknow15





    Di questa esecuzione, uscita nel 1964/65 [la P cerchiata nell’etichetta indica il 1964, quella sulla cover il 1965], ho due stampe Decca 'made in England':

    Un Decca SXL 6164, degli anni sessanta e quindi con l’etichetta ‘wide band’ come quella riportata qui sopra [Per comodità, tutte le foto sono prese dal Web]. 

    Qui, un'altra immagine dell’etichetta ‘wide band’, identica a quella della mia copia:


    Stampe e ristampe: il suono del vinile Maazel10



    L’etichetta ‘wide band’ distingue i dischi stampati dalla Decca fino al 1970 quando la label britannica introdusse la ‘narrow band’. 

    La mia seconda copia è una stampa degli anni settanta e fa fa parte di un cofanetto contenente l’integrale delle sinfonie di Tchaikowsky, il Decca SXL 6476-80, questo:


    Stampe e ristampe: il suono del vinile Unknow16



    I cinque lp presenti hanno tutti l’etichetta ‘narrow band’, del tutto simile a questa che riporto per un confronto tra le due etichette:

    Stampe e ristampe: il suono del vinile Unknow17


    Ovviamente, tutti i Decca SXL 'made in England', a partire da una certa data di produzione (e numero di catalogo) hanno questa etichetta; la “linea di confine”, secondo ‘Spiral Classic’ sembra essere stata tracciata poco prima del mio cofanetto  Decca SXL 6476-80:

    “All SXLs from SXL 6449 onwards have a narrow band label as their original label”.

    https://www.spiralclassics.co.uk/guide-to-collecting/decca

    Come però già detto in altri post, l’analisi delle stampe Decca in mano agli appassionati è enormemente facilitata dalla lettura del runout del vinile dove troviamo tutto quel che è necessario sapere - eccezioni  sono sempre possibili, come vedremo, purtroppo, tra poco Stampe e ristampe: il suono del vinile 95624  - senza il bisogno di uno studio scrupoloso della etichetta e delle sue variazioni, come invece è purtroppo necessario in altri casi, ovvero ogniqualvolta non abbiamo i codici o non li sappiamo decodificare.

    Nel mio caso abbiamo:

    1) Decca SXL 6164
    La mia copia riporta a h. 6 del lato 1: ZAL 6333-2W; sappiamo che ‘W’ è il codice responsabile di questo mastering mentre 6333 è il numero identificativo del master/laquer master corrispondente ai primi due movimenti della sinfonia; ciò che conta è quel ‘2’:  su questa facciata è stato utilizzata la seconda laquer master prodotta a partire dal nastro master. Mi sposto a h. 9 e trovo 1; quindi per il mio vinile è stata utilizzata la prima delle due o tre metal mother che scaturiscono dal processo di trasformazione della laquer master. A questo punto porgo lo sguardo a h. 3 e non trovo nessuna delle lettere indicanti il numero di stamper! E’ la prima volta che mi capita, forse il disco è stato stampato di lunedì Stampe e ristampe: il suono del vinile 999153 o durante un’agitazione sindacale Stampe e ristampe: il suono del vinile 650957 .
         
     Lato 2: ZAL 6334-1W; qui è stata utilizzata la prima laquer master, il che mi fa pensare che in fase di produzione fossero presenti contemporaneamente più coppie di laquer master/metal mother. Anche in questo caso trovo a h. 9 ‘1’ come indicazione della prima metal mother e a h. 3 non trovo indicazione di nessuna lettere indicante lo stamper;

    2) Decca SXLC 6480

    Lato 1: h.6 ZAL 6333-7W;  h.9 ‘1’ ; h.3 ‘U’ 
    Lato 2: h.6 ZAL 6334-6W;  h.9 ‘1’ ; h.3 ‘H’ 

    Ricordo il codice degli stamper:
    B U C K I N G H A M
    1 2  3 4 5 6  7  8 9 10



    Abbiamo qui lo stesso identico punto di partenza, il nastro - o una delle sue copie, naturalmente, il che può non essere indifferente sul risultato sonico finale - della durata compatibile con quella di un LP, e quindi lo ZAL 6333 per la side 1 e il 6334 per la 2 che viene riutilizzato per la sesta e settima volta al fine di darci altre coppie o terne di metal mother che, a loro volta, possono garantire una decina di stamper, possibilità che qui è stata chiaramente sfruttata (il lato 2 del Decca SXLC 6480 è il frutto dell’ottavo stamper, ‘H’, della coppia laquer master 6/metal mother 1).

    Siccome questo avviene a distanza di poco più di un lustro, possiamo dire che questa produzione Decca ha goduto di un buon successo commerciale, cosa non difficile da pronosticare visto il programma, la Patetica di Tchaikovsky, la presenza di un’orchestra straordinaria, i Wiener Philarmoniker e di quel quel Lorin Maazel che all’epoca era considerato una stella nascente al pari di Claudio Abbado anche se, al contrario del direttore italiano, non ha forse mantenuto completamente le promesse. 

    Il suono dei due vinili.

    Naturalmente ho ascoltato a varie riprese i quattro movimenti della sinfonia, utilizzando le combinazioni più disparate. Ma, davvero, in questo caso si è trattato di un esercizio del tutto inutile. Il giudizio risulta chiaro anche ascoltando una frazione di un singolo movimento con un rapido confronto A/B: la differenza in termini di qualità sonora del transiente musicale, del corpo, del timbro dei singoli strumenti è facilmente percepibile.
    Tuttavia, per puro piacere ho riascoltato in A/B varie volte il III movimento, l’ ‘Allegro molto vivace’, che è una delle pagine più esaltanti della sinfonismo di Tchaikovsky.
    Cominciamo col dire che tutto il ciclo Tchaikowsky/Wiener/Maazel di metà anni sessanta appartiene al novero delle grandi registrazioni Decca, il che, visto e considerato il livello medio sempre molto alto delle produzione dell’etichetta britannica dal punto di vista della qualità sonora, significa che tutti gli appassionati che avranno la possibilità di trovare in buone condizioni viniliche questi Decca non rimarranno delusi.

    La mia copia SXLC 6480 ‘narrow band’ suona molto, molto bene. Il cofanetto con l’integrale è a casa mia da molto tempo ed è uno dei miei numerosi riferimenti per quanto riguarda il suono Decca. 
    ‘L’Allegro molto vivace’, con quel ritmo di marcia sostenuto dagli archi con un figurazione terzinata incalzante sopra la quale il tema viene esposto a varie riprese dai legni, è un brano perfetto, con la sua dinamica e la differenziazione timbrica dei vari strumenti, per “giustificare” anche alle orecchie di un musicofilo estraneo al nostro mondo l’allestimento di un impianto hi-fi domestico d’alto livello.   

    Parlo per esperienza diretta, perché questo post nasce da un ascolto recente proprio di questa sinfonia con una ospite che da anni ha l’abbonamento alla stagione concertistica del ‘Maggio Musicale Fiorentino’ ma non si trastulla con l’Hi-Fi: “Ecco perché vieni solo quando trovi dei posti buoni!", mi ha detto, con aria tra il divertito e lo stupito, alla fine del lato 1, da lei ascoltato senza proferire verbo.

    Io non posso che confermare la valutazione fatta al tempo dell’acquisto: per me questo vinile, in ottime condizioni, vale 8 e mezzo. Alla mia copia che, proprio all’inizio del III movimento, mostra qualche rumorino di troppo, probabilmente perché il sistema testina/braccio/antiskating del precedente proprietario non era esente da colpe, tolgo qualcosa: 82/100. 

    Passare all’ascolto del SXL 6164 ‘wide band’ 2W/1W significa fare un deciso, inequivocabile passo in avanti in termini di realismo, d’approssimazione all’ascolto in sala da concerto. Davvero c’è poco da aggiungere. Tutti gli strumenti suonano più simili a quello che è possibile percepire dal vivo. 

    Ovviamente, l’approssimazione - o meglio, l’immaginare d’essere di fronte - all’evento reale è a sua volta condizionata dalle condizioni domestiche; nel mio caso, in una stanza di circa 12 mq con una catena d’alto ma non eccezionale livello lo sforzo immaginativo è sicuramente superiore a quello richiesto ad altri appassionati dotati di condizioni di partenza più favorevoli (stanza e catena); però, francamente, è facile accontentarsi quando si ascoltano vinili di questo livello.

     A proposito del livello, il voto - provvisorio, in attesa di un riascolto di tutti i vinili di classica d’alto lignaggio che, probabilmente, non avverrà 
    mai Stampe e ristampe: il suono del vinile 184438 Stampe e ristampe: il suono del vinile 184438 -   è 95/100. 

    Mi tengo in tasca 5/100 perché credo d'aver ascoltato qualche vinile superiore nella resa timbrica dei violini e nella profondità della scatola sonora; però poi bisogna vedere se questi vinili hanno la stessa qualità nelle riproduzione dei legni - clarinetti e fagotti, in primis, degli ottoni, e dei contrabbassi; per non parlare della tenuta timbrica  di tutta l’orchestra al salire della dinamica…

    Sarebbe davvero interessante verificare se in altre catene, fondate su front end analogici "filosoficamente" distanti dal mio, le distanze sonore tra stampe diverse dello stesso contenuto musicale si mantengono, come io ipotizzo, oppure no. 

    Nel frattempo, godiamoci le gioie sonore dei Decca 'made in England', early pressing o ristampe che siano.


    Ultima modifica di Bertox il Ven Feb 25 2022, 20:40 - modificato 1 volta.
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    Messaggio Da carloc Ven Feb 25 2022, 19:45

    Grazie Bertox, bella segnalazione!


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    Messaggio Da Luca58 Lun Feb 28 2022, 16:42

    Molto interessante. Il miglior Decca che ho posseduto e' stato un mastodontico cofanetto del Flauto Magico (Solti, Deutekom, etc.) che ho acquistato usato in Giappone nel 1992, appartenente alla serie piu' vecchia delle due.

    Ti vorrei chiedere un'opinione a proposito dei London, che dovrebbero ricalcare i corrispondenti Decca ma che, al contrario di molti Decca post '70, ho trovato quasi sempre eccellenti.
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    Messaggio Da Bertox Lun Feb 28 2022, 18:28

    Stampe e ristampe: il suono del vinile Unknow19

    Stai parlando di questa edizione del 'Flauto magico'? Se sì, per fortuna e con mio sommo gaudio è presente qui a scaffale.  Stampe e ristampe: il suono del vinile 22474 E' una bella edizione che rende felice sia il musicofilo sia l'audiofilo: il massimo.

    La registrazione fu effettuata nel settembre/ottobre del 1969 ma il disco uscì nel 1970, l'anno, per l'appunto, che vede il passaggio dalla etichetta 'wide band' a quella 'narrow band'.

    Il mio cofanetto è un Decca SET 479-81. I vinili sono Decca made in England con etichetta purple e 'narrow band'. Esiste una versione 'wide band'? 
    Secondo popsike, un sito che molti pusher consultano per stabilire i prezzi della loro merce, no; ecco qui:   

    SET 479 MOZART THE MAGIC FLUTE SOLTI England Decca 3 x LP BOX SET 

    Mozart, The Magic Flute.

    Dietrich Fischer-Dieskau et al with Georg Solti and The Vienna Philharmonic Orchestra
    England pressed Decca Records stereo 3 x LP box set with extensive 77pp libretto booklet insert, SET 479/81.

    Earliest purple and silver narrow band issue (never available as a wide band).

    https://www.popsike.com/SET-479-MOZART-THE-MAGIC-FLUTE-SOLTI-England-Decca-3-x-LP-BOX-SET-STEREO-NB-1st/372647650063.html

    Come detto e ridettoStampe e ristampe: il suono del vinile 62116, con i Decca - e i London 'made in England' - il run out conta più dello studio dell'etichetta. Il lato 1 del mio primo disco è un '4G'. Non ho un secondo cofanetto e quindi posso solo ipotizzare che un cofanetto con i tre vinili 1o 2G dovrebbe suonare mediamente meglio. Certo, c'è sempre la variabile dello stamper 'a fine corsa' con le sue colline ormai usurate che può produrre un vinile meno performante di uno stamper successivo ma nel pieno delle sue prerogative. 

    Decca/London

    La Decca britannica non ha potuto presentare il suo catalogo in USA perché di là dall'Atlantico era già presente una label 'Decca'. Ecco svelato il mistero dei 'London' made in England con copertine e numeri di catalogo diversi ma con gli stessi identici titoli.

    "Decca Records is a British record label established in 1929 by Edward Lewis. Its U.S. label was established in late 1934 by Lewis, American Decca's first president Jack Kapp and later American Decca president Milton Rackmil. In 1937, anticipating Nazi aggression leading to World War II, Lewis sold American Decca and the link between the UK and U.S. Decca labels was broken for several decades.[Tutti i grassetti sono miei] The British label was renowned for its development of recording methods, while the American company developed the concept of cast albums in the musical genre."

    https://en.wikipedia.org/wiki/Decca_Records

    Insomma, i Decca 'made in England' in USA si chiamano 'London', per non confonderli coi Decca made in US.

    A proposito della tua esperienza, è possibile che tu sia stato più fortunato con i vinili 'London' che con quelli 'Decca'. La mia ipotesi è questa, sempre che si parli dello stesso identico contenuto musicale: tu hai trovato dei 'London' che avevano una combinazione laquer master/metal mother/stamper migliore dei corrispondenti Decca.
    Se hai ancora i vinili puoi controllare. 
    Quali sono questi 'London'? Fuori i nomi!Stampe e ristampe: il suono del vinile 184438
    Qui negli scaffali ho pochi 'London' ma parecchi 'Decca'. Se abbiamo dei doppioni, magari organizziamo una session di confronto e pubblichiamo qui in 'Stampe e ristampe' le nostre impressioni.
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    Messaggio Da Luca58 Mar Mar 01 2022, 22:26

    Bertox ha scritto:Stampe e ristampe: il suono del vinile Unknow19

    Stai parlando di questa edizione del 'Flauto magico'? Se sì, per fortuna e con mio sommo gaudio è presente qui a scaffale.  Stampe e ristampe: il suono del vinile 22474 E' una bella edizione che rende felice sia il musicofilo sia l'audiofilo
    Si’, l’opera e’ quella come edizione ma non la versione Decca. Il cofanetto era nero, piu' grosso e pesante del normale, col libretto scritto in giapponese e inglese. Era Made in Japan ed era straordinario; Antonio Palmieri di Atelier del Suono, che aveva una prestigiosa collezione di vinili, mi disse: "Se mi dai il cofanetto vieni qui e scegli il disco che vuoi, qualsiasi". L'aspetto che piu' colpiva ascoltandolo era la marcata sensazione di live, la sensazione di una concentrazione di armoniche fuori dal comune e la inusuale trasparenza. Sono riuscito a fare un graffio micidiale su uno dei lati di un Lp mentre lo pulivo con un sistema autocostruito perche' un granellino si era infilato tra il vinile e la bocchetta dell'aspiratore  Stampe e ristampe: il suono del vinile 75961 , ma quando vendetti tutto l’analogico me lo “fumarono” lo stesso Laughing.

    L'ho trovato e vedo che era London:

    https://www.fineday.co.jp/en/detail_id_p02797.html


    Stampe e ristampe: il suono del vinile Screen17


    Ultima modifica di Luca58 il Mar Mar 29 2022, 16:40 - modificato 8 volte.
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    Messaggio Da Luca58 Mar Mar 01 2022, 22:55



    A proposito della tua esperienza, è possibile che tu sia stato più fortunato con i vinili 'London' che con quelli 'Decca'. La mia ipotesi è questa, sempre che si parli dello stesso identico contenuto musicale: tu hai trovato dei 'London' che avevano una combinazione laquer master/metal mother/stamper migliore dei corrispondenti Decca.
    Se hai ancora i vinili puoi controllare. 
    Quali sono questi 'London'? Fuori i nomi!Stampe e ristampe: il suono del vinile 184438
    Qui negli scaffali ho pochi 'London' ma parecchi 'Decca'. Se abbiamo dei doppioni, magari organizziamo una session di confronto e pubblichiamo qui in 'Stampe e ristampe' le nostre impressioni.
    Ti mando le foto di 3 London di stampa recente che vanno incredibilmente bene (MOLTO meglio di altri cofanetti Decca che ho). Ho acquistato i primi due in Italia a prezzo ridicolo, come liquidazione di uno stock di importazione che in genere e' indicato dal taglio che si vede in alto a destra sul cofanetto dell'Otello.

    Stampe e ristampe: il suono del vinile 4ea14410Stampe e ristampe: il suono del vinile 56468110Stampe e ristampe: il suono del vinile 45870010Stampe e ristampe: il suono del vinile 7bf07210Stampe e ristampe: il suono del vinile C2fa5b10
    Stampe e ristampe: il suono del vinile Fc38f610
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    Messaggio Da Bertox Mer Mar 02 2022, 18:02

    Luca58 ha scritto:
    Bertox ha scritto:Stampe e ristampe: il suono del vinile Unknow19






    Stai parlando di questa edizione del 'Flauto magico'? Se sì, per fortuna e con mio sommo gaudio è presente qui a scaffale.  Stampe e ristampe: il suono del vinile 22474 E' una bella edizione che rende felice sia il musicofilo sia l'audiofilo
    Si’, l’opera e’ quella come edizione ma non la versione Decca. Il cofanetto era nero, piu' grosso e pesante del normale, col libretto scritto in giapponese e inglese. Era Made in Japan ed era straordinario; Antonio Palmieri di Atelier del Suono, che aveva una prestigiosa collezione di vinili, mi disse: "Se mi dai il cofanetto vieni qui e scegli il disco che vuoi, qualsiasi". L'aspetto che piu' colpiva ascoltandolo era la marcata sensazione di live, la sensazione di una concentrazione di armoniche fuori dal comune e la inusuale trasparenza. Sono riuscito a fare un graffio micidiale su uno dei lati di un Lp mentre lo pulivo con un sistema autocostruito perche' un granellino si era infilato tra il vinile e la bocchetta dell'aspiratore  Stampe e ristampe: il suono del vinile 75961 , ma quando vendetti tutto l’analogico me lo “fumarono” lo stesso Laughing.

    L'ho trovato e vedo che era London:

    https://www.fineday.co.jp/en/detail_id_p02797.html


    Stampe e ristampe: il suono del vinile Screen17

    Ieri, per colpa tua  Stampe e ristampe: il suono del vinile 184438 , ho riascoltato la prima delle sei facciate della mia copia del ‘Flauto magico’ Decca/Solti/1969 versione 4G: concordo con la tua valutazione: siamo in presenza di una grande registrazione Decca, il che significa - visto che gli standard dell'etichetta britannica sono comunque molto alti - di una registrazione di qualità eccelsa.

    Concordo altresì nello specifico: quel che colpisce qui è la “trasparenza”, per usare il tuo termine. C’è un effetto “cassa elettrostatica” nella pulizia e definizione degli strumenti dell’orchestra che rende questo Decca/London ‘made in England’ speciale. In particolare, sono rimasto sbalordito dalla facilità nel seguire le parti dei legni nella Overture. 

    E’ vero; la disposizione dell’orchestra in un’opera lirica è diversa da quella di una esecuzione sinfonica o concertistica: l’orchestra è “in buca” e le distanze in larghezza e profondità sono ridotte e questo è ri-creato dai tecnici Decca in maniera notevole, ovvero realistica; noi però a questa capacità dei tecnici Decca di ri-produrre con artificio il realismo della ‘buca’ e del palco siamo abituati e ormai la diamo per scontata; quello che qui strappa il sorriso è, per es., la facilità con cui ho seguito la parte del fagotto - e giuro che non ho la partitura del ‘Flauto magico’ - strumento difficilmente descrivibile come “sempre in prima fila”, grazie proprio alla “trasparenza” di cui sopra.

    Grazie per la segnalazione, Luca.  Ora però devi recuperare la tua preziosissima copia ‘London’  così la confrontiamo con la mia '4G', perché qui siamo in 'stampe e ristampe' e un confronto fra più versioni s'impone.
    Magari saltiamo la facciata rigata  Stampe e ristampe: il suono del vinile 941176      Stampe e ristampe: il suono del vinile 81249    . 
    Spero che tu abbia evitato di “colpire e affondare” i punti di forza di questa edizione: se hai reso inascoltabili le arie di Tamino (Burrows) o di Pamina (Lorengar) credo che i moderatori possano chiudere un occhio Stampe e ristampe: il suono del vinile 650957; certo, se hai fatto del male alle due arie di Sarastro (Talvela) o il Papageno di Hermann Prey la cosa si fa più grave; se è così, credo che istruire un procedimento con giudice monocratico di Livorno  Stampe e ristampe: il suono del vinile 57549, vedo che sei di Pisa   Stampe e ristampe: il suono del vinile 881181  , mi sembra il minimo…

    Oh no! hai rigato le arie della Regina della notte, de ‘La’ Regina della notte (Deutekom)! Questo non si può fare Stampe e ristampe: il suono del vinile 33910.
     
    Facciamo così, non lo dico a nessuno. Transiamo. Mi porti una coppia di LS 3/5a di quelle buone e la chiudiamo in maniera extragiudiziale  Stampe e ristampe: il suono del vinile 3612222525 .
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    Messaggio Da Luca58 Mer Mar 02 2022, 18:31

    Guarda che sono di LIVORNO e abito a Pisa per motivi di lavoro (anche se mia sorella dice che e' peggio...Stampe e ristampe: il suono del vinile 650957).

    Per quanto riguarda l'Lp London non ho piu' contatti con la persona a cui l'ho venduto e non mi ricordo nemmeno piu' il nome. Non verificherei comunque cosa sia andato danneggiato, perche' se scoprissi che e' Der Holle Rache della Deutekom andrei in depressione Laughing . Cercai quell'edizione proprio perche' sentii la Deutekom che cantava quell'aria in una selezione in musicassetta: s t r a o r d i n a r i a! Stampe e ristampe: il suono del vinile 3538144151

    Nella perenne attesa di riacquistare un giradischi che mi piaccia, intanto ascolto la selezione in CD cercando inutilmente di far suonare la mia nuova sala di ascolto a pianta quadrata... Stampe e ristampe: il suono del vinile 75961
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    Messaggio Da Bertox Mar Mar 29 2022, 16:35

    2)   Thelonious Monk, ‘In Action’, Riverside RLP 12-262 (1958)

    Stampe e ristampe: il suono del vinile In_act12


    La prima emissione, mono, uscì per l’appunto nel 1958 con questa etichetta:

    Stampe e ristampe: il suono del vinile In_act11


    Importante notare, in basso a h. 6, la scritta ‘BILL GRAUER PRODUCTION’ senza “Inc.”, come avverrà da un certo momento in poi, ovvero all’incirca dal 1960. 

    La prima emissione stereo con il numero di catalogo 1190 - la Riverside come altra etichette, vedi, per es. Columbia, adottò il barbaro sistema di cambiare totalmente la numerazione del proprio catalogo per le edizioni mono e stereo Stampe e ristampe: il suono del vinile 95624 - è del1960:


    Stampe e ristampe: il suono del vinile In_act13


    ma rientra ancora nel periodo pre “Inc.”, ecco l'etichetta della versione stereo:



     
     Stampe e ristampe: il suono del vinile In_act14




    Il periodo ‘Riverside’ di Thelonious Monk è quello della sua affermazione come musicista di prima grandezza tra gli appassionati di jazz moderno, ovvero del passaggio dall’essere un vero e proprio punto di riferimento tra i musicisti di jazz moderno e non solo - si pensi, per es., all’apprezzamento di Pee Wee Russel - pronti a presentarsi a casa sua per avere ‘ due dritte’ su una progressione d’accordi o sulle sue ‘voicing’ trovandolo sempre disponibile anche perché spesso e volentieri...era senza lavoro.

    Al periodo ‘Riverside’ seguirà quello ‘Columbia’, ovvero quello  della sua tardiva ma doverosa consacrazione, con tanto di riconoscimento  di ‘gigante del jazz’ e copertina del ‘Time’ annessa.

    Per quanto ami tutta la produzione discografica di Monk - Blue Note, Prestige, Riverside, Columbia -  se dovessi consigliare un primo acquisto molto probabilmente partirei da un Monk del periodo ‘Riverside’.

    Qui siamo a una ripresa dal vivo al Five Spot nell’estate del 1958, nei fatti un ritorno nello stesso luogo dove, un anno prima, il nostro aveva avuto un ingaggio di sei mesi (!) divenuto leggendario perché il quartetto presentava al sax tenore quel John Coltrane il quale, dopo la fondamentale esperienza nel quintetto di Miles Davis, aveva proprio bisogno di un corso ‘post lauream’  prima di spiccare il volo: ascoltate il suo fraseggio e il suono del suo sax tenore nelle registrazioni Prestige del ’56 e in quelle, sempre Prestige, del ’58 - ovvero dopo il semestre al ‘Five Spot’ con Monk - e il salto di qualità vi apparirà chiaro.

    Ma torniamo alla serata del 7 agosto1958 da cui la Riverside ricaverà due album: ’In Action’ e ‘Misterioso’.

    Dopo la partenza di Coltrane Monk aveva ingaggiato un altro sassofonista tenore, Johnny Griffin; anche il resto della sezione ritmica era cambiata: Ahmed Adbul-Malik al contrabbasso e Roy Haynes alla batteria. 
    Ovviamente, tutti i piccoli gruppi diretti negli anni da T. Monk che abbiamo la fortuna d’ascoltare mantengono l’impronta del proprio leader; ciò nondimeno, vuoi per l’estrema libertà che il nostro concedeva ai propri solisti - famosi sono i suoi allontanamenti dal palco per decine di minuti! - vuoi per la personalità dei sax tenori con cui ha collaborato (Sonny Rollins, Coleman Hawkins, John Coltrane, in primis) ogni suo combo in generale e ogni T. Monk quartet with tenor sax in particolare, risente in maniera significativa della personalità del sassofonista tenore.

    Johnny Griffin è stato un tenorista notevole, dotato di una tecnica straordinaria la quale in qualche modo è stata il suo punto di forza e, come spesso succede in questi casi, anche la sua gabbia dorata.
     
    Ascoltiamolo qui, per es., in ‘Blue Monk’, un celeberrimo blues di T. Monk che, per scelta di tempo e progressione d’accordi non potrebbe essere più canonico; la costruzione dell’assolo di Griffin è esemplare: nei primi chorus stabilisce il clima blues con una serie di frasi dove la pentatonica minore con l’aggiunta della quinta diminuita è il presupposto su cui costruire variazioni continue; una volta scaldato l’ambiente, nei chorus centrali, Griffin fa …il Griffin  proseguendo con delle volate di semicrome e biscrome suonate con una pulizia e con una pronuncia jazzistica (l’ alternasi di staccato e legato) ineccepibili, per poi ‘ritornare a casa’, con frasi blues nel chorus conclusivo.
    Naturalmente, le qualità di Griffin le trovate dispiegate a piene mani in tutti i brani del disco ma ho citato ‘Blue Monk’ perché qui accade qualcosa di abbastanza inusuale e divertente d’ascoltare per gli appassionati di musica jazz, qualcosa che vede Griffin protagonista:
     alla fine dell’assolo di batteria, Monk rientra per la riesposizione del tema e qui…accade il fattaccio: Griffin decide d’entrare un quarto dopo Monk, a quel punto il pianista e il resto della band si adattano all’esposizione del tenor sax e concludono il brano. 

    Naturalmente, qualcuno ha sbagliato a contare! La cosa non è così strana, anche a questi livelli, se si pensa al carattere relativamente informale del jazz in generale e, in particolare, di una serata dal vivo in un club/bar piuttosto angusto come era il Five Spot dove i musicisti si mettono d’accordo a volte a parole a volte con un cenno sulla sequenza degli assoli, non sempre sulla sua durata (numero dei chorus) e dove l’assolo del collega è spesso l’occasione per distrarsi (accendersi una sigaretta, dare un'occhiata a FacebookStampe e ristampe: il suono del vinile 650957 ,  ecc., ecc.).
    A questo va aggiunto il particolare drumming di Roy Haynes - uno dei miei batteristi preferiti - che qui è splendido nelle sue figurazioni e …nel rendere la vita difficile ai suoi colleghi evitando il più possibile di sottolineare il ‘battere’ e omettendo una qualche figurazione classica per il rientro di tutto il gruppoStampe e ristampe: il suono del vinile 33910Stampe e ristampe: il suono del vinile 630139Stampe e ristampe: il suono del vinile 528114!

    Quello che però stupisce è la decisione di Griffin di ‘beccare’ il proprio leader, un comportamento davvero insolito visto che la regola sul palco è sempre quella di aiutarsi e mascherare le eventuali magagne: la mia ipotesi è che i rapporti tra i due quella sera non fossero proprio idilliaci…Stampe e ristampe: il suono del vinile 57549
     
    I due vinili. 

    1) OJC-103 (RPL-1190), 1984, Fantasy, USA.

    La prima versione uscita coma OJC nel 1984 ad opera della Fantasy, Inc., facilmente riconoscibile perché dotata dell’ OBI, feature che verrà negli anni successivi abbandonata.

    Stampe e ristampe: il suono del vinile In_act15

     
    Naturalmente, comprando il disco ‘second hand’, l’OBI potrebbe essere andato perduto, anche perché gli OJC made in USA, al contrario delle ristampe giapponesi degli anni ’70 e ’80, quando uscirono non godevano di grande considerazione  né dai collezionisti né dagli audiofili. E, infatti, sono sempre costati meno dei fratellini ‘made in Japan’. 
    Con mia grande gioia, devo dire. Sono sempre stato un estimatore di queste emissioni, vere campioncine nel rapporto qualità/prezzo. Nella mia esperienza, basata su un gira Linn Sondek variamente configurato nei decenni, ogniqualvolta è stato possibile un confronto con le coeve ristampe giapponesi non ho mai viste soccombere le OJC made in USA, anzi… 
    OBI o no, le prime emissioni OJC hanno il vinile leggero, al contrario delle emissioni del terzo millennio dotate di vinile più spesso. Tutti gli OJC hanno l'etichetta bianca dei primi 'Riverside': 

    Stampe e ristampe: il suono del vinile In_act16

    Questa copia faceva parte della mia discoteca jazz degli anni ’90, venduta, per fortuna, a un audiofilo ‘puro e duro’ che me l’ha gentilmente imprestata per questo confronto con la mia copia attuale, questa:


     2) 2004, Analoge Production, AJAZ 1106, 2 LP a 45 g., vinile 180 grammi.

    Si tratta del secondo set di 25 titoli tratti dal catalogo Fantasy che, come noto, è proprietaria da lunga pezza di etichette fondamentali per la storia del Jazz moderno come Prestige, Contemporary e, per l’appunto, Riverside. Questa serie gode del lavoro di masterizzazione della AcousTech di Kevin Gray e Steve Hoffman e dell’utilizzo di vinile vergine, naturalmente di 180 grammi. 

    Faccio subito presente ai gazebini possessori dei vinili ‘Riverside’ di Bill Evans dal vivo al Village Vanguard che in questo caso il master non sembrerebbe essere dello stesso livello.
    Dico ‘sembrerebbe’ perché, senza avere tra le mani una ‘early pressing’ di questo titolo ma due ristampe distanti una circa 25 anni,  e l’altra addirittura 45 dalla prima emissione, l’uso del condizionale è d’obbligo. 
    Ciò nonostante credo di potermi sbilanciare; perché? 
    Però possiedo tre stampe dei brani registrati dal trio di Bill Evans in quel 25 giugno 1961 per la Riverside:
    - una prima edizione olandese di ‘Sunday at the Village Vanguard’;
    - una  ristampa ‘made in USA’ di metà anni settanta con i due LP;
    - la ristampa OJC di ‘Waltz for Debby’ (che era l’altro titolo contenente il materiale uscito all’epoca) che è coeva, 1985, a quella di Monk presa in considerazione qui.   
    Quindi, per quanto riguarda i master ‘Riverside’ di Bill Evans , ho un’idea piuttosto precisa del “tasso di decadimento” esistente passando dalla prima stampa olandese alla ristampa OJC di “Waltz for Debby” e, per l’appunto, quest’ultima grosso modo coeva dell’OJC di Monk che stiamo considerando.
    Ora, il “tasso di decadimento” dei trasferimenti del Bill Evans trio al Village Vanguard è, per fortuna, buono, ovvero relativamente basso e mi permette di godere delle mie due ristampe tarde sia come amante della musica sia come audiofilo. 
    In particolare, la ristampa OJC made in USA di “Waltz for Debby” è da un punto di vista sonoro nettamente superiore a questa OJC di Monk.

    Tornando ai due vinili di ‘Thelonious Monk in Action’, devo dire che la loro qualità sonora è davvero molto simile, al punto da costringermi a diverse sedute d’ascolto per arrivare a delle “conclusioni”.
    Sicuramente le due edizioni sono il frutto dello stesso master o di copie vicinissime tra loro. Non ci sono errori nel trasferimento dal nastro in uno dei due dischi (in realtà i vinili sono tre, ma avete capito) con ribaltamento destra-sinistra come a volte avviene, per cui la disposizione degli artisti è la stessa con il piano di Thelonious all’estrema destra e il sax tenore dal lato opposto, il contrabbasso sul centro destra e la batteria sul centro sinistra. La profondità è davvero minima ma questo potrebbe essere un merito di Ray Fowler, l’Engineer di questa registrazione, perché sicuramente il palco del ‘Five Spot’ doveva essere minuscolo. Direi che proprio il senso di realismo di una esecuzione dal vivo in un club è il punto di forza di questa registrazione e la ragione per cui noi plaudiamo la nascita della stereofonia.   

    Da un punto di vista timbrico, vi è invece una diversa illuminazione del palcoscenico: i quattro sembrano suonare in un Five Spot leggermente più illuminato nella versione OJC rispetto a quella Analog Production a 45 giri.  Questo però sembra non incidere significativamente sulla resa timbrica dei quattro strumenti. Il suono del sax tenore di Griffin, per es., tendenzialmente scuro, è il medesimo; forse, e dico forse, i piatti della batteria sono gli unici dove è possibile sentire differenze timbriche significative: alcuni descriverebbero il suono più “pulito” nella versione AP e più “rumoroso” in quella OJC; altri, forse, direbbero che la versione OJC ha dei piatti più “veri” mentre quelli presenti nei due dischi a 45 gg. per audiofili sono più “precisini”. Io mi chiedo quanto il diverso sfondo luminoso delle due versioni possa influenzare queste percezioni e, naturalmente, quanto queste percezioni possano cambiare in presenza di un altro front end gira/braccio/testina e/o di un altra catena con un’altra resa timbrica rispetto alla mia.
    Di una cosa sono certo: stiamo parlando di differenze davvero minime rispetto a quelle che normalmente sono solito ascoltare confrontando stampe diverse.
    Conclusioni?
    Alla fine di tante prove confermo quanto accennato all’inizio e quindi che la mia copia AP come qualità sonora “cade” nella parte bassa della mia discoteca. 
    Nel mio DB ho segnato 69/100. Non posso che confermare: siamo lontanissimi non solo dai dischi che ti lasciano senza parole (90-100/100) o che ti soddisfano appieno (80-90/100) ma anche piuttosto distanti da quelli che cominciano a regalarti, parlando sempre da un punto di vista audiofilo, dei momenti assai piacevoli (75-80/100); in questo caso, il piacere d’ascolto è maggiormente determinato dalla qualità musicale rispetto a quella sonora.
    Insomma, l’impianto d’alto livello ti regala il massimo possibile da una sorgente con evidenti lacune, le quali in sintesi sono due:

    -una qualità timbrica povera d’armonici, che è, nella mia esperienza,  il tipico difetto di una ristampa distante dalla qualità di un master alla sua origine; infatti, indipendentemente dalla qualità della registrazione originale, qualsiasi ‘early pressing’ restituisce una ricchezza armonica che rende l’ascolto appagante; 
    -una banda passante limitata, ovvero una riproduzione in gamma bassa e alta ai limiti della sufficienza: la linee del contrabbasso sono appena percepibili, solo un pochino meglio la resa dei piatti della batteria; anche  la perdita di “contenuto sonoro” agli estremi gamma è, nella mia esperienza, lo scotto che si paga nel passaggio da ‘early pressing’ a ristampe molto distanti nel tempo. 

    Sul fronte delle note positive segnalo: una resa dinamica tutto sommato sufficiente, mentre come già detto, la ricostruzione dell’evento sonoro è il punto di forza di questa registrazione che proprio per questo, oltre per i meriti strettamente musicali, spero di poter ascoltare in un’edizione precedente alle due considerate qui.

    Per quanto riguarda il confronto fra le due edizioni, diciamo che per un’incollatura la versione a 45 gg. dovrebbe essere arrivata prima, grazie a un pizzico di dinamica in più e a una migliore riproduzione agli estremi gamma (soprattutto in basso); il che sembra giustificare lo sforzo del riversamento a 45 giri. 
    Il vinile delle ristampe OJC è in generale buono e quello di questa questa copia  si fa preferire a quello a 180 grammi AP, che ha qualche ‘toc’ sparso per i solchi e uno dei due dischi leggermente ondulato. 
    Le valutazioni sul rapporto qualità/prezzo sono sempre soggettive e quindi mi astengo dal pronunciarmi. Gli OJC made in Usa stanno salendo leggermente di prezzo. Diciamo che, tranne qualche titolo particolarmente ricercato, dovrebbero oscillare tra i 15 e al massimo 25 euro. Questi AP, quando uscirono, costavano sui 60 euro. 
     
    Buoni ascolti.
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    Stampe e ristampe: il suono del vinile Empty Re: Stampe e ristampe: il suono del vinile

    Messaggio Da Bertox Mar Apr 26 2022, 14:22

    3)    Stan Getz/Charlie Byrd, ’Jazz Samba’, Verve Records, 1962


    Stampe e ristampe: il suono del vinile Jazz_s10


    Si aspettava un ritorno negli USA meno complicato Stan Getz agli inizi degli anni sessanta. 

    In Danimarca aveva trovato una maggiore serenità esistenziale grazie anche al secondo matrimonio con Monica Silverkiold: si trattava quindi di ricominciare a “macinare” il suo jazz raffinato, basato su una superba combinazione di fraseggio moderno, il bop, con quell’intenzione più rilassata, più fresca -‘cool’- il tutto servito da un suono splendido che gli aveva fatto vincere il primo premio tra i lettori del ‘Down Beat’ alla voce ‘tenor sax’ praticamente per tutti gli anni cinquanta.

    Ma il clima politico-sociale e quindi, di conseguenza, anche quello culturale e musicale stava cambiando; la comunità afroamericana rivendicava i propri diritti e musicisti come Charlie Mingus, Art Blakley, Max Roach, Sonny Rollins e John Coltrane, per citarne alcuni, avevano ricominciato a menare le danze, spingendo maggiormente sulla centralità dei tratti più africani di quella combinazione straordinaria di culture musicali distinte che aveva dato vita alla musica jazz: la centralità della scansione ritmica, del blues e dell’espressione marcata, robusta della linea melodica.

    All’improvviso, il sax tenore di Stan Getz, giustamente  soprannominato ‘the Sound’ per la bellezza della sua voce, non attirava clienti nei locali come qualche anno prima e gli ingaggi cominciavano a scarseggiare.

    Poi la svolta: il chitarrista Charlie Byrd, di ritorno da una tournée in America Latina nel 1961, decide di fargli sentire il ‘nuovo sound’ brasiliano che lo aveva impressionato: l’onda nuova, la ‘bossa nova’ che aveva in Joao Gilberto uno dei musicisti di punta.
    “Quando eravamo in Brasile - ricorda Charlie Byrd - mi è capitato di suonare con musicisti locali. Abbiamo suonato queste canzoni [quelle che troviamo nel disco di cui andiamo a parlare; n.Bertox] e mi sono trovato a mio agio a improvvisare in maniera jazzistica su queste”.
    E Stan Getz aggiunge: “Quella musica mi piacque. Avevo suonato con [le orchestre latino-americane di]  Miguelito Valdes e  Machito con grande piacere. Pensai che mi sarebbe piaciuto suonare con un ritmo morbido come quello”.

    Il 3 febbraio del 1962, il produttore Creed Taylor, l’uomo che la Verve aveva appena strappato alla Paramount/Impulse!, porta nella ‘Chiesa unitaria di tutte le anime’ a Washington, D.C. Charlie Byrd e Stan Getz per sfornare il primo di una serie di album che faranno epoca.

    Il clamoroso successo di ‘Jazz Samba’ - l’LP è stato venduto in centinaia di migliaia di copie, travalicando  il tradizionale bacino di vendita della musica jazz - colse di sorpresa tutto l’ambiente e rimise definitivamente in carreggiata la carriera di Stan Getz, il quale, parlando del brano di maggior successo dell’album, ‘Desafinado’, disse con quella schiettezza tipicamente statunitense in materia di denaro: “Questa canzone pagherà gli studi universitari dei miei figli, di tutti cinque”.


    Di ‘Jazz Samba’ ho al momento due versioni:

    1) una prima emissione mono ‘made in USA’, sigla V-8432 con la tipica etichetta ‘Verve’ utilizzata sicuramente nel periodo 1960-1967 e, forse, ancora per qualche anno; questa:

    Stampe e ristampe: il suono del vinile Jazz_s11

    Si noti la R cerchiata dopo la scritta ‘Verve’ in alto, non presente nei Verve precedenti, e la scritta in basso:
    MGM RECORDS - A DIVISION OF METRO GOLDWYN MEYER, INC., anch’essa, ovviamente, non presente nelle etichette Verve del periodo precedente, poiché la vendita della Verve da parte del suo fondatore Norman Granz al colosso dell’intrattenimento MGM avviene proprio nel dicembre del 1960.

    Sul runout della mia copia trovo una delle varianti riportate nella banca dati di ‘Discogs’, 

    https://www.discogs.com/it/release/1118541-Stan-Getz-Charlie-Byrd-Jazz-Samba

    ovvero ’61 VG 148’ scritto in corsivo seguito da quello che io interpreto come una sorta di ‘1’ di dimensioni ragguardevoli e poi da ‘V-8432-A’, di nuovo in corsivo. Questo dovrebbe essere il codice di riferimento della laquer master usata, così come un ‘1’ sopra ’61 VG(…)’ dovrebbe/potrebbe essere l’indicazione del metal mother usato ma, insomma: 
    non avendo contezza dei codici della Verve;
    dando per scontato l’alto numero di laquer master incisi dai torni, visto le centinaia di migliaia di copie vendute;
    e, last but not least, l’ampio arco temporale (almeno 6-7 anni, se non un intero decennio) in cui la Verve ha utilizzato questa etichetta;
    credo sia esercizio di buon senso considerare la mia copia una ‘early pressing’ piuttosto che definirla una “prima stampa” come pomposamente dichiarato dal venditore, ovviamente interessato a far brillare la sua merce; cosa, peraltro, del tutto inutile, visto il mio correre alla cassa appena avuto in mano il disco qualche anno fa;  

    2) La stampa italiana stereo ‘Ricordi’ SGVL 51.021 del 1969; questa:


    Stampe e ristampe: il suono del vinile Jazzsa10


    si tratta della serie “Verve/Gold/The sound of Brazil"della Ricordi di cui ho diversi titoli che non mi hanno mai tradito, né come suono né come vinile.  Impossibile non riconoscerli a causa del manto dorato scelto dalla casa, il quale la fa da padrone anche sull’etichetta:








    Stampe e ristampe: il suono del vinile Jazzsa11




    L’analisi della label e del runout giustificano la datazione, che , comunque, trovate confermata su ‘Discogs’:

    https://www.discogs.com/it/release/5177097-Stan-Getz-Charlie-Byrd-Jazz-Samba

    Infatti, sull’etichetta troviamo ‘D.R.’ che, come già illustrato in un altro 3d qui in ‘Analogico’ [ ‘La caccia al vinile “made in Italy”: un paio di dritte “old style”’] è l’acronimo usato in Italia per indicare i diritti depositati  alla fine degli anni 1960;
    sul runout, dopo il codice della laquer master, ’S-51-021-1-I’, troviamo la data di produzione, caratteristica abbastanza tipica dell’industria discografica italiana: ’10-7-69’.

     
    Come suonano i due vinili.

    Credo di non svelare alcun mistero segnalando che ci troviamo di fronte a un grande master targato Verve.
     Infatti, sono sicuro che molti gazebini avranno in casa questo titolo che ha goduto anche di diverse ristampe per audiofili.
    Naturalmente, il confronto deve tener conto del passaggio da una copia mono a una stereo ma, come vedremo subito, questa anomalia avrà un peso assai poco rilevante.

    L’edizione Ricordi del 1969, stereo, suona in maniera davvero convincente. Al contrario delle due edizioni di ‘Monk In Action’ di cui vi ho parlato sopra, con questa ristampa si entra decisamente in territorio audiofilo: vi è una presenza di suono, di qualità timbrica o, come tanti anni fa sentii dire in un negozio di dischi da un cliente, di “brodo armonico” che predispone al piacere d’ascolto.
    Da un punto di vista timbrico si nota una leggera tendenza a rafforzare la zona del calore, a orecchio direi tra i 100 e i 300 hz, che tende a scurire la prima ottava del sax tenore di Getz e, per es., in ‘Desafinado’ a rendere meno intellegibili le linee di basso; questo però non inficia una buona, direi ottima definizione  complessiva che permette d’apprezzare la chitarra acustica di Charlie Byrd; molto buona l’estensione alle alte frequenze che garantisce una resa delle percussioni di prim’ordine, senza arretramenti - come spesso avveniva nelle registrazioni degli anni ’60 - e altrettanto dicasi per la dinamica. 
    Il fronte stereofonico è un altro punto di forza: larghezza della scena notevole con i due protagonisti ai lati, S.Getz a sinistra e Byrd a destra, non “schiacciati” sui diffusori ma dietro e lateralmente oltre. Bella anche la riproduzione in altezza, con l’illusione di vedere il sassofonista in piedi rispetto al chitarrista seduto. I piani sonori in profondità sono discretamente presenti, cosa mai scontata quando s’incontra una registrazione così generosa nella resa in larghezza.  

    Insomma, come detto, un disco audiofilo, senza se e senza ma: all’ingrosso, un vinile che cade in quel territorio 80-90/100 dove gli ascolti rendono giustizia agli sforzi sostenuti per mettere a punto una catena d’alto livello; più nello specifico, direi che quell’eccesso di calore gli fa perdere qualche centesimo che gli preclude l’otto e mezzo in pagella: 83/100.


     Quando la base di partenza è un master baciato dalla buona sorte, l’ascolto di una ‘early pressing’, in questo caso del mono V-8432, in condizioni di vinile più che buone, dopo una lusinghiera ristampa è un’esperienza audiofila che spero molti gazebini conoscano: l’effetto “sorriso da ebete”, in senso buono, è assicurato  Stampe e ristampe: il suono del vinile 650957  .

    Purtroppo descrivere il suono di questa stampa mi costringe a utilizzare una serie di luoghi comuni audiofili letti, riletti, fatti propri e utilizzati da tutti noi: 

    ‘sollevamento di veli’? Senza dubbio, almeno un paio, forse anche tre  con conseguente aumento della definizione - qualcuno usa il termine ‘trasparenza’:credo che ci siamo capiti - su tutto lo spettro sonoro con annesso aumento della dinamica - posso risparmiarvi la distinzione tra micro e macro? grazie - e conseguente maggior senso di ‘realismo’ degli strumenti la cui ‘immagine’ è più palpabile.
     Se, invece,  non si vuole ricorrere al solito arsenale terminologico, stringi stringi quello che si sente è “più musica” Stampe e ristampe: il suono del vinile 285880  ,  e la differenza che emerge dal questo confronto è di un ordine di grandezza che si misura in migliaia di euri in termini di hardware; anzi, a dirla tutta, migliaia di euri se gli appassionati sono abituati a ricorrere  il più possibile al mercato dell’usato, perché se parliamo di oggetti a catalogo per i quali i prezzi a 5 cifre non fanno più notizia, ebbene, la differenza di qualità sonora tra queste due edizioni rischia di essere quantificata a questo livello.

    Tornando al confronto, da un punto di vista timbrico con la prima emissione mono scompare il rinforzo della zona del calore - che, quindi, non era nel master tape - con le conseguenti buone notizie in termini d’intelligibilità del basso e di restituzione di quella lucentezza che il sax tenore di Mr. ‘The Sound’ merita.

     La timbrica, il suo realismo, è sempre stato un punto di forza delle ‘prime stampe’ Verve nel confronto con le sorelline Blue Note o Prestige firmate da Rudy Van Gelder, mentre quest’ultime, in genere, surclassano la concorrenza in termini d’impatto dinamico, con quel “muro di suono” capace d’emergere dai solchi che lascia l’ascoltatore senza parole.
    Su quest’ultimo aspetto, questo Verve di Val Valentin si avvicina di molto alla premiata ditta Blue Note/Prestige & RVG; forse non le raggiunge ma la qualità della chitarra di Charlie Byrd con la sensazione di vedere le corde di nylon compensa l’eventuale gap, ripeto, posto che in questo caso il gap ci sia: il suono “innonda” la stanza e rende poco significativa la minor ampiezza d’emissione rispetto all’edizione stereo della Ricordi.

    Infatti, questo ‘Jazz Samba’ ha una ‘larghezza’ del tutto paragonabile alla stragrande maggioranza dei vinili ‘stereo’ (sic!) degli anni ’80 che ho in casa, incapaci d’andare lateralmente oltre alle casse ma, a differenza di questi, permette una perfetta distinzione all’interno dello spazio dei singoli strumenti senza che questi si spostino a destra e manca a causa dell’eccessivo missaggio. 

    Certo, non c’è una vera e propria scatola stereofonica ma vi assicuro che il corpo, l’immagine dei singoli strumenti riduce di molto il rimpianto dell’assenza mentre l’impatto fisico del suono annulla questo rimpianto, almeno per me e... almeno fino alla comparsa di una sorellina 'early pressing' stereofonicaStampe e ristampe: il suono del vinile 732370.

    In conclusione, uno dei migliori vinili della mia discoteca; il voto? Mi sento persino imbarazzato nel tentare di tradurre in numeri questo piacere musicale. Dovrei riascoltare gli altri pezzi da novanta - che infatti partono dai 90/100, scusate: non ho resistito  Stampe e ristampe: il suono del vinile 184438  - e stilare una classifica a colpi di centesimo; ma ha un senso? 

    Diamogli un provvisorio 95/100 e andiamo a riascoltarlo Stampe e ristampe: il suono del vinile 3612222525 .


    Ultima modifica di Bertox il Mer Apr 27 2022, 00:23 - modificato 1 volta.
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    Stampe e ristampe: il suono del vinile Empty Re: Stampe e ristampe: il suono del vinile

    Messaggio Da AlessandroCatalano Mer Apr 27 2022, 00:08

    Luca58 ha scritto:


    A proposito della tua esperienza, è possibile che tu sia stato più fortunato con i vinili 'London' che con quelli 'Decca'. La mia ipotesi è questa, sempre che si parli dello stesso identico contenuto musicale: tu hai trovato dei 'London' che avevano una combinazione laquer master/metal mother/stamper migliore dei corrispondenti Decca.
    Se hai ancora i vinili puoi controllare. 
    Quali sono questi 'London'? Fuori i nomi!Stampe e ristampe: il suono del vinile 184438
    Qui negli scaffali ho pochi 'London' ma parecchi 'Decca'. Se abbiamo dei doppioni, magari organizziamo una session di confronto e pubblichiamo qui in 'Stampe e ristampe' le nostre impressioni.
    Ti mando le foto di 3 London di stampa recente che vanno incredibilmente bene (MOLTO meglio di altri cofanetti Decca che ho). Ho acquistato i primi due in Italia a prezzo ridicolo, come liquidazione di uno stock di importazione che in genere e' indicato dal taglio che si vede in alto a destra sul cofanetto dell'Otello.

    Stampe e ristampe: il suono del vinile 4ea14410Stampe e ristampe: il suono del vinile 56468110Stampe e ristampe: il suono del vinile 45870010Stampe e ristampe: il suono del vinile 7bf07210Stampe e ristampe: il suono del vinile C2fa5b10
    Stampe e ristampe: il suono del vinile Fc38f610
    Buonasera,

    In merito all'Otello vorrei segnalare questo cofanetto DECCA dell'Otello diretto da Herbert Von Karajan alla Filarmonica di Vienna con Del Monaco, Tebaldi e Protto. Quel che posso dire che oltre ad essere una registrazione superlativa trovo che altrettanto superlativa la stampa olandese, oltre che come ovvio un'interpretazione a dir poco stellare.Stampe e ristampe: il suono del vinile Otello11
    Stampe e ristampe: il suono del vinile Otello12




    Un saluto

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    Messaggio Da Bertox Gio Apr 28 2022, 18:05

    AlessandroCatalano ha scritto:

    Buonasera,

    In merito all'Otello vorrei segnalare questo cofanetto DECCA dell'Otello diretto da Herbert Von Karajan alla Filarmonica di Vienna con Del Monaco, Tebaldi e Protto. Quel che posso dire che oltre ad essere una registrazione superlativa trovo che altrettanto superlativa la stampa olandese, oltre che come ovvio un'interpretazione a dir poco stellare.Stampe e ristampe: il suono del vinile Otello11
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    Un saluto

    Alessandro

    Ciao Alessandro,
    ottima segnalazione. Le foto della back cover spiega il tuo entusiasmo: stiamo parlando delle registrazioni d'opera Decca dei primi anni sessanta, in questo caso, 1961, con le quali la casa britannica si conquistò l'appellativo tra i melomani di 'Opera Label' grazie al binomio vincente di qualità artistica e sonora. Come si vede bene in basso a destra nella seconda foto, la tua è una ristampa del 1986.

    Anch'io ho sempre riscontrato che la produzione Decca 'made in Holland' degli anni ottanta sia mediamente molto buona. Due parole su queste stampe/ristampe val la pena spenderle.
    Infatti, per i Decca 'made in Holland' degli anni ottanta, non stiamo parlando di una classica stampa da parte di una casa discografica estera di materiale Decca come, per es., i Decca 'made in Germany' con etichetta Teldec/Telefunken che sono stati menzionati nel 3d 'pre phono con curveRIAA selezionabili' o qualsiasi altro esempio analogo vi venga in mente (stampa RCA italiana di un RCA 'made in USA', ecc., ecc.).

    Qui stiamo parlando della gestione diretta della casamadre britannica di un stabilimento all'estero nell'epoca del tramonto del vinile e dell'ascesa del CD. Il WEB, anche qui, aiuta:

     "The only reason there is "Made in Holland" on almost all classical releases from the Decca Group from about 1980 on is that after Decca Record Co. Ltd., Pressing Plant, UK. in New Malden was shut down Decca had to outsource a large part of their pressings to the Netherlands. While mastering still was done at Decca Studios for some time, most pressings were manufactured at PRS Baarn [Paesi Bassi], with some still made in England at PRS Ltd.. 
    The sleeves were usually still printed and assembled in the UK at this point. 
    Some of the later releases from about 1983 on (with the 4xx xxx-1 cat# scheme) were also distributed in some other parts of Europe. Still, Dutch pressings with SXL, SDD, Argo ZRG, L'Oiseau-Lyre SOL cat#s are releases for the UK market."

    https://www.discogs.com/forum/thread/700333

    E' possibile, quindi, che molti titoli Decca, Argo e L'Oiseau-Lyre usciti negli anni ottanta si trovino esclusivamente 'made in Holland'.
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    Stampe e ristampe: il suono del vinile Empty Re: Stampe e ristampe: il suono del vinile

    Messaggio Da Luca58 Ven Apr 29 2022, 15:20

    Io ho posseduto questo Otello e, pur trattandosi di una buona versione come incisione, l'ho trovato al pari delle numerose ristampe Decca del periodo. Niente a che vedere, parlo sempre come qualita' di incisione, con l'Otello di Solti della London che ho fatto vedere prima.
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    Stampe e ristampe: il suono del vinile Empty Re: Stampe e ristampe: il suono del vinile

    Messaggio Da Bertox Mer Mag 11 2022, 22:36

    4) Pink Floyd, 'The Dark Side of the Moon', 1973. 

    Stampe e ristampe: il suono del vinile Dark_210

    Rispondendo a @Fabrizio Baretta in ”Ristampe vinili” accennavo a un confronto fra due copie, una made in Germany, l’altra ‘made in Usa di un disco Sheffield che avevo postato su un forum britannico. Cercandolo, e non trovandolo Stampe e ristampe: il suono del vinile 941176, mi sono imbattuto invece su un’altro post dello stesso tenore che, credo e spero, possa interessare gli analogisti del Gazebo.

    Il confronto fu fatto nel dicembre del 2018 ma ne ho un ricordo nitido e produsse, come conseguenza, l’acquisto della copia propostami - si veda qui sotto - e la vendita della mia copia precedente.
     Mi trovo così nella strana situazione di tradurre in italiano quanto scritto allora e “rimpolparlo” con particolari che non conoscevo allora e che oggi, grazie  alle informazioni via Web, in generale, e ‘Discogs’, in particolare, rendono sempre più intellegibili le differenze tra diverse edizioni dello stesso titolo: 

    “Il mio principale dealer di vinili è entrato in possesso di una prima emissione di ‘Dark Side of the Moon’, disco sulla cui notorietà non solo tra gli appassionati di rock ma anche della più ristretta comunità audiofila non credo serva spendere parole.

    La prima emissione ‘made in UK’ è facilmente identificabile dall’etichetta che è definita ‘solid triangle’ o ‘solid blue triangle’; come al solito, un’immagine vale più di mille parole:

    Stampe e ristampe: il suono del vinile Pink-f10


    La copia ‘solid blue triangle’ del mio pusher ha nel runout un A-2 e B-2,  sembrerebbe quindi il frutto di una seconda laquer master; il mercato, però, la qualifica come ‘first pressing’ e, come vedremo, si trovano conferme sul WEB. 
    Suppongo che qualcosa sia andato storto con il primo laquer master a livello tecnico oppure il riascolto ha provocato qualche ripensamento a livello artistico: sono sicuro che qualche esperto di rock conosce la risposta.  

    L’emissioni ‘solid blue triangle’, hanno raggiunto delle valutazioni da capogiro: io, con i miei occhi, ne ho vista una proposta a Euro 1.500,00, cifra, evidentemente non fuori mercato perché, mentre sto scrivendo, sulla baia vedo che per 1500,00 sterline viene offerto questo: 

    Pink Floyd - Dark Side Of The Moon
    SHVL 804 - A2/B2 1st Press with Solid Blue Triangle
    Stampers - 5GDR, 1GGA

     
    I due vinili

    La ‘second pressing’ - riferisco le parole del pusher - messa in vendita ha lo stesso
    numero di catalogo, SHVL 804, così come l’anno d’emissione, 1973, della ‘first pressing’; cambia, invece, l’etichetta che perde il ‘solid blue triangle’ a vantaggio della black Harvest "blue outline prism" label design; eccone un esempio:
    Stampe e ristampe: il suono del vinile Dark_211


    Nel runout trovo nelle due facciate, A-3 e B-3 a indicare l’utilizzo di un nuovo laquer master con consequente nuova moltiplicazione per 2 o per 3 di metal mother e quindi di decine di nuovi stampi.
    Di questo vinile mi son preso la briga di scomodare la bilancia: circa 140 grammi.

    Ecco cosa dice ‘Discogs’:

    Second Issue.

    These copies were produced for a short time only, between first pressing and first repress, featuring earliest use of the new black Harvest "blue outline prism" label design.
    These early transitional pressings, still have on labels the rim text starting as "The Gramophone Co. Ltd", and have been found with vinyl matrix A2/B2 or A3/B2 or A3/B3.

    Come si vede, la copia A3/B3 propostami sembra quindi rientrare in questo gruppo per il rotto della cuffia e confermare l’affermazione del mio dealer.
     A dirla tutta, però, la mia etichetta non ha più sul bordo - a circa h. 10 la scritta "The Gramophone Co. Ltd” che appare nella foto qui sopra; ecco la label della mia copia A3/B3:

    Stampe e ristampe: il suono del vinile Dark_l10



     Poco male, perché è chiaro che, da un punto di vista audiofilo e non collezionistico,, ciò che conta è il combinato disposto di laquer master/metal mother/stamper: non sapendo i codici degli stamper, ci accontentiamo di sapere l’informazione più importante:
    questa emissione è frutto del III laquer master in senso cronologico ovvero - per quanto detto sopra - del II come emissione “ufficiale”. 

    Questo 1) SHVL 804 A-3/B-3 è stato messo a confronto con la mia copia che a un’analisi superficiale per quanto riguarda la copertina e l’etichetta risulta indistinguibile dalla copia che mi accompagna dagli anni novanta:

    2) A-4 in side 1 e B-3 in side 2
    gli altri codici - metal mother, numeri di stamper, ecc. sono diversi;
    un peso del vinile leggermente inferiore: circa 130 grammi.

    Come si vede, stiamo parlando di due copie davvero molto, molto vicine, prodotte a ridosso una dall’altra - settimane? giorni? - ma, come detto,  leggendo ora il db di Discogs’ possono essere considerate come ‘pressing’ distinte, con relativo diverso dispendio economico, posto che all’atto d’acquisto il venditore sia esperto in materia.
      
    Questa copia 2) mi ha accompagnato perlomeno dagli anni novanta e, sebbene non riesca a ricordare le circostanze d’acquisto, mi resi conto del suo valore grazie a una session condotta insieme a un caro amico, audiofilo molto più serio del sottoscritto, che legge il Gazebo ma partecipa col contagocce. Chissà se si ricorda - il vinile a confronto col mio l’aveva portato lui da Roma - e se vorrà intervenire.

    Il confronto fu fatto con la celeberrima ‘Original Master Recording’ della MFSL che tantissimi audiofili hanno visto usare nei negozi e alle mostre per far risaltare la qualità delle catene in dimostrazione; questa:


    Stampe e ristampe: il suono del vinile Dark_m10

     L'edizione MFSL, uscì in prima emissione nel 1979, sei anni dopo il lancio del disco, e fu stampata perlomeno in decine di migliaia di copie come risulta dalla nutrita serie di codici distinti sui runout:
     
    https://www.discogs.com/it/release/10960799-Pink-Floyd-The-Dark-Side-Of-The-Moon

    Per farla breve, in quel confronto la stampa MSFL risultò significativamente inferiore, al punto da non richiedere alcun riascolto. 
    Per parte mia rappresentò una sorta di “segnale d’allarme” sul valore da attribuire: 
    - alla ristampe cosiddette audiofile di vinili usciti anni prima e
    - di conseguenza, alle loro recensioni nelle riviste audiofile, cartacee o sul Web.  

    Ma torniamo a questo nuovo confronto.


    Come suonano i due vinili.

    1)   SHVL 804, Made in UK, 1973, runout  A-3;  /B-3; vinile ca. 140 grammi.


    2)   SHVL 804, Made in UK, 1973, runout  A-4/B-3; vinile ca. 130 grammi.

    In questo caso, a un primo ascolto di tipo “prolungato” - prima una facciata del disco 1), ripetuta con il disco 2), ecc. - i due vinili risultano sonicamenti molto simili e mi obbligano all’utilizzo di un taccuino dove scrivere alcune impressioni durante gli ascolti estensivi e a confronti più serrati per giungere a delle conclusioni.

    Sia le note sia i confronti A / B  rapidi vanno nella stessa direzione: la copia 1) è, seppur di poco, sonicamente più soddisfacente.

    Cosa vuol dire quel ‘poco’? Sempre difficile tradurre un qualcosa di “qualitativo” (la percezione del suono) nella dimensione “quantitativa” (poco, tanto) e viceversa.

    Diciamo così: la musica, ascoltata a volume sostenuto, in specie nei passaggi  più impegnativi con la presenza della band con il coro - si pensi, per es., a ‘ Us and them’ o alle battute finali di ‘Eclipse’,  - “scorre meglio”, è più facile da seguire; insomma, il vinile 1) ha la capacità di rendere più “facili” e intellegibili i passaggi musicali - e quindi sonori - complessi, di produrre una qualità timbrica più ricca d’armonici e perciò restituire una sensazione di maggior realismo. 
    L’entità di questo ‘meglio’ è sottile ma ciò nondimeno udibile, forse paragonabile al mio ultimo cambio di braccio sul mio Sondek - da un Ittok III mk2 a un Ekos SE - naturalmente con la stessa testina. 

    Stabilita la piccola ma udibile superiorità di un vinile sull’altro, resta da delineare il livello di questo confronto che è, non svelo alcun segreto, altissimo: stiamo parlando di riversamenti in vinile compiuti nello stesso anno di produzione di uno dei master tape sonicamente più straordinari della musica rock.

    L’equilibrio timbrico è davvero encomiabile: nel mio sistema risulta solo leggermente spostato verso il chiaro e quindi lo definirei corretto perché questa è proprio la caratteristica timbrica della mia catena; questo equilibrio s’accompagna a una ricchezza d’armonici di prim'ordine.
    La banda passante è estesa come deve essere, la linee del basso sono chiaramente percepibili e godibili, persino in una catena come la mia che, su questo rispetto, ha delle limitazioni nel riprodurre la prima ottava del basso in termini d’estensione ma, soprattutto, in termini di peso, di corpo delle note.

    Per quanto riguarda la gamma alta, è interessante notare la presa di suono  della batteria di Nick Mason; la resa dei piatti potrebbe scontentare qualcuno: non ci sono “effetti speciali”, il suono è naturale ma sicuramente non in evidenza, leggermente indietro, coerente con la disposizione nello spazio, per l’appunto indietro e al centro assieme al basso di Roger Waters. 

    Al contrario, ai lati, la chitarra di David Gilmour, a sinistra, e le tastiere di Richard Wright, a destra, hanno una presa di suono - o, per dirla in altro modo, un lavoro di missaggio - che favorisce l’illusione che la loro presenza sul palco sia spostata più avanti rispetto alla batteria e al basso.
    Peccato, da questo punto di vista, per lo spostamento al centro del pianoforte in ‘The Great Gig in the Sky’; però questo brano, cantato dalla turnista Clare Torry è un ‘unicum’ nel disco, una sorta di ‘duo’ per canto (senza parole) e piano in versione progressive rock e come tale facciamo finta che, per l’occasione, il pianoforte sia stato portato sul palco dagli addetti collocato davanti alla batteria e poi rimosso Stampe e ristampe: il suono del vinile 285880  .

     Infine, poche parole su quello che ha reso celeberrimo il disco, gli effetti speciali. Anche qui, un plauso al responsabile del missaggio: non si può dire che non invadano il fronte sonoro; quello che mi piace è come lo invadono. 
    Per quanto paradossale possa suonare, c’è un senso d’organicità, di naturalezza nel loro diffondersi, di non giustapposizione con il suono degli strumenti tale da renderli un tutt’uno col contenuto musicale 'stricto sensu'; perlomeno, a me fanno questo effetto e favoriscono l’illusione che la band sia sul palco perfettamente supportata da un bravo tecnico del suono che, al momento giusto, fa partire la registrazione della grancassa modificata a mo’ di battito cardiaco, della risata in ‘Brain Damage’ e ‘Speak to Me’, degli  orologi in ‘Time’, ecc., ecc.

    In conclusione,  sia 1) sia 2) 
    rientrano nella forbice dell’assoluta eccellenza (90-100/100) e sono quindi in grado d’inchiodare l’ascoltatore alla sedia per gli abbondanti quaranta minuti dell’album, dispiace, persino, alzarsi per il cambio di facciataStampe e ristampe: il suono del vinile 917604.
     Unica nota dolente: entrambe queste copie sono un po’ penalizzate per le condizione del vinile abbastanza distanti dall'ideale 'near mint' e pagano entrambe per questo una manciata di centesimi: probabilmente sono state ascoltate e riascoltate in loop per ore e ore e/o con combinazioni gira/braccio/testina non esenti da pecche.

    Naturalmente, la valutazione di quanto incida l’usura di un vinile sulla sua resa sonora è soggettiva. 
    Per parte mia, sono arrivato alla conclusione che il mio grado di tolleranza sale al salire della qualità e della "quantità" di suono di cui un vinile è capace. 
    Credo che quelli bravi parlino in questo caso di rapporto segnale/rumore. Vi assicuro che in questi due casi il segnale che arriva rende indulgenti sui difetti del vinile: 

    SHVL 804, Made in UK, 1973, runout  A-3;  /B-3; vinile ca. 140 gr. = 94/100;


    SHVL 804, Made in UK, 1973, runout  A-4/B-3; vinile ca. 130 gr. = 91/100

    Buon TDSOTM a tutti!"
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    Messaggio Da Edmond Gio Mag 12 2022, 06:51

    Thread molto interessante, grazie!


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    Non fateci caso... sono sordo!!! E pure GURU!!! affraid
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    Messaggio Da Pifti Gio Mag 12 2022, 16:16

    Bertox ha scritto:
    Questa copia 2) mi ha accompagnato perlomeno dagli anni novanta e, sebbene non riesca a ricordare le circostanze d’acquisto, mi resi conto del suo valore grazie a una session condotta insieme a un caro amico, audiofilo molto più serio del sottoscritto, che legge il Gazebo ma partecipa col contagocce. Chissà se si ricorda - il vinile a confronto col mio l’aveva portato lui da Roma - e se vorrà intervenire.

    Ricordo benissimo quella giornata perché sorprese molto anche me.
    Tanto più la stampa è temporalmente vicina all'originale tanto migliore il suono. I miglioramenti sono decisi in presenza, micro e macrodinamica e pulizia generale.
    Il tdsotm omr ha un vinile perfetto e silenziosissimo ma non va proprio; ha un suono lontano rispetto agli originali.
    Per gli audiofili di vecchia data che hanno avuto dei registratori, il risultato somiglia un po' a quello che si otteneva registrando un vinile su un nastro.
    Spesso per tagliare le lacche vengono usate copie delle copie del master o, nel caso delle pur amatissime stampe giapponesi copie digitali 16/44.
    E' come partire da una foto e poi farne una fotocopia dalla quale poi ottenerne un altra e così via.
    Con Bertox abbiamo fatto questo esperimento con tanti dischi e il risultato è quasi sempre certo. Più vecchia la stampa migliore il risultato.
    Per colpa sua infatti  Stampe e ristampe: il suono del vinile 1f605 di certi dischi ho tre o quattro copie ...
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    Messaggio Da Luca58 Gio Mag 12 2022, 17:22

    Bertox ha scritto:Per parte mia rappresentò una sorta di “segnale d’allarme” sul valore da attribuire: 
    - alla ristampe cosiddette audiofile di vinili usciti anni prima 

    Concordo, vale anche per alcune incisioni di classica ristampate da etichette audiophile su vinile 180 g, quasi inascoltabili.

      La data/ora di oggi è Gio Ott 03 2024, 18:26