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Ogni maledetto venerdì
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    Messaggio Da Avian Lun Ott 25 2021, 18:39

    La pensata dietro questo topic sta nella volontà di creare una rubrica personale in cui ogni venerdì posto due album (solo due) che artisticamente meritano di essere ricordati e analizzati. Più testo che immagini, pertanto. Gli album potranno avere qualcosa in comune, un filo conduttore, oppure potranno essere agli antipodi, senza condividere nulla. Dipenderà dal momento, o dal periodo preso in considerazione. I generi coinvolti? Rock, Jazz e derivati. Parlerò inoltre, per ogni album, delle edizioni che ritengo migliori, con pregi e difetti delle rimasterizzazioni, ove pervenute. Sarà un bel viaggio, spero condiviso.

    A venerdì, allora  Ogni maledetto venerdì 625723 

    Ogni maledetto venerdì 51p9SICh6YL._AC_SL1001_


    Ultima modifica di Avian il Mar Ott 26 2021, 07:07 - modificato 1 volta.


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    Messaggio Da phaeton Lun Ott 25 2021, 19:02

    bella idea seguo con interesse sunny
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    Messaggio Da vaidome Lun Ott 25 2021, 19:35

    Molto bello!
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    Messaggio Da calcatreppola Lun Ott 25 2021, 20:38

    ci sto!

    ma due album sono tanti... già ti ringrazio per il lavoro che farai!
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    Messaggio Da giaiant Lun Ott 25 2021, 20:54

    questo argomento lo posterei su
    Le guide all'ascolto 
    mi sembra più adatto secondo me 
    poi "fate vobis" Ogni maledetto venerdì Tiphat13


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    Messaggio Da Camelia Mar Ott 26 2021, 17:10

    Avevo ragione io che eri una persona interessante....

    .... Buon lavoro sunny


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    Messaggio Da Pinve Mer Ott 27 2021, 09:26

    Grande idea!
    seguo...


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    Messaggio Da Avian Ven Ott 29 2021, 17:45

    Ogni maledetto venerdì Tangerine-Dream-Zeit-1972


    Tangerine Dream – Zeit (Ohr, 1972)


    Inauguriamo questa rubrica partendo dagli anni ’70. A ben vedere, rappresentano i discendenti esausti delle baldorie e degli sconvolgimenti che il mondo era riuscito a produrre nel decennio precedente. Successe davvero di tutto prima, negli anni ’60. Qualche esempio: l’Algeria ottiene l’indipendenza dalla Francia; John Fitzgerald Kennedy diviene, nel ’61, il 35° presidente degli Stati Uniti d’America, per poi essere assassinato solo due anni dopo; comincia la costruzione del muro di Berlino; ci lasciano Marilyn Monroe, Malcom X, Winston Churchill, Martin Luther King e tanti altri personaggi illustri che hanno segnato indelebilmente arte, costumi e politica della nostra società; l’uomo cammina per la prima volta sulla Luna (21 luglio 1969) ed esce pure, senza che nessuno se ne accorgesse (a ragione), il primo album dei Beatles, “Please Please Me” (marzo 1963).


    Mentre allora l’Occidente si scopre fragile di fronte l’avanzata comunista (Vietnam, 1973) ed umiliato dall’embargo petrolifero imposto dai Paesi Arabi, l’unica nazione in Europa ad andare davvero forte era la Germania. Il famoso maggiolino Volkswagen diviene il simbolo di una super-potenza economica in ascesa.
    Cominciamo da qui allora, da “Zeit” dei Tangerine Dream, che si formarono proprio nella Berlino del 1966. Quest’album, va detto, è il primo del trio classico: Froese, Franke e Baumann. Gli originari Schulze (percussionista) e Schnitzler (tastierista, ma anche violino e violoncello) se ne andarono quasi subito, dopo l’esordio con Electronic Meditation (Ohr, 1970).


    La storia dell’arte è, in fin dei conti, storia di linguaggi che cambiano. Van Gogh rappresentava un linguaggio, Picasso pure, etc. Stessa cosa vale per la musica, dove un genere si afferma insieme ai suoi esponenti nel momento in cui riesce a imporre un “codice” nuovo.


    Non è tanto l’elettronica il tema di oggi, quanto la spiritualità tedesca, che in quel periodo seppe fondere l’artificio elettronico con la musica orientale, anticipando sorprendentemente (a posteriori) la new-age. Pensiamo ai Popol Vuh, con “In Den Gaerten Pharaos” (Pilz, 1972): album mistico registrato nella cattedrale di Baumberg, in Baviera, lontanissimo da ogni stereotipo di cosmic-music a venire.


    Ecco allora che la musica inizia a farsi portatrice di un diverso messaggio. Ci parla differentemente, come mai fatto prima. Sintetizzatori e sequenziatori analogici sostituiscono chitarra e batteria. Mentre l’acid-rock ci aveva fatto viaggiare nelle nostre perversioni inconsce, appellandosi chi più, chi meno, al misticismo allucinogeno (es. Jim Morrison), qui il viaggio è all’esterno, in forma liturgica, verso un cosmo apparentemente tangibile, fatto di suoni esili e spettrali, sub-umano.


    Non si tratta di una musica “spettacolare”, nel senso moderno del termine, ma introspettiva, basata sull’osservazione (rectius ascolto) dei minimalismi.


    In “Zeit” troviamo quattro movimenti:
    1. Birth Of Liquid Plejades;
    2. Nebulous Dawn; 
    3. Origin Of Supernatural Probabilities;
    4. Zeit.


    Nel primo, “Birth Of”, i violoncelli si intersecano lungo una costante tesissima, inerte, se non fosse per quel senso opprimente di attesa, di qualcosa che sta per accadere, sotto i brusii di Froese. L’ “avvento” comincia al minuto 7:00.


    “Nebulous” rappresenta il disfacimento musicale, il frutto di quanto prima rivelato e ora compiuto. La materia di questa galassia si può solo indovinare dietro ai rumori stranianti, acquosi e alle sequenze subsoniche che vi imperversano.


    L’astrattismo addirittura s’intensifica nel seguente “Origin”. È un brano senza sviluppi. Vive e muore imprigionato nella sua stessa trama.


    C’è di certo una sorta di monologo, paradossalmente più pittorico che sinfonico. Se noi premessimo il tasto repeat, forse capiremmo davvero quel senso di infinito divenire, dato dalla ripetizione di schemi semplici, eppure maestosi. Alcuni definiscono i Tangerine Dream “corrieri cosmici”, e non faccio fatica ad ammetterlo. Immaginare il trio come cibernauti alla deriva, aiuta ad immedesimarsi nel sogno, o più correttamente, aiuta a comprendere questa musica in termini di “sogno”.


    “Zeit”, a chiusura, riprende la suspance dell’inizio, annegandola nel solenne moto astrale. Non è un vero finale, d’altronde mai potremmo dire terminato un viaggio del genere.


    Prendetevi tempo e fatevi spazio per ascoltare questo disco. Non ci sono scorciatoie. L’ambient, la techno, insieme alla new-age, nascono da qui.


    Edizioni:
    Per chi non riuscisse a reperire il doppio vinile “Ohr” del 1972, il doppio cd americano, etichetta “Relativity” del 1987, è un’ottima edizione con dr 13, 13, 12, 14. Ma si partiva già da un master eccellente. C’è poco da aggiungere in questo caso.
     
     
    Ogni maledetto venerdì R-135287-1217087152.jpeg



    Neu! – Neu! (Brain, 1972)


    Cosa accadrebbe se nella nebulosa di “Zeit” introducessimo il ritmo? Se in quel pattern di corpi celesti sgargianti aggiungessimo chitarra e batteria elettronica?
    Ci hanno pensato Rother e Dinger, i reduci dei Kraftwerk.


    L’approccio è sempre quello impressionistico tedesco. In questo caso, esso non ha ad oggetto galassie lontane, ma le compulsioni post-industriali, non meno ripetitive e incessanti di quanto sentito prima.


    Il minimo comun denominatore con “Zeit” è da ricercare nella decostruzione del suono, operata con strumenti diversi, alla ricerca di un iper-realismo trionfante e, al tempo stesso (da un punto di vista wagneriano volendo), decadente.


    Le sei suite sono tutte strumentali (quasi):
    1. Hallogallo
    2. Sonderangebot
    3. Weissensee
    4. Im Gluck
    5. Negativland
    6. Lieber Honig


    Nei 10 minuti di “Hallogallo” non si va da nessuna parte, l’importante è il viaggio (altro denominatore comune), esattamente. La chitarra di Rother entra ed esce, semplice, lineare quanto il metro 4/4 adottato. È l'alba del “motorik beat”. Va ascoltata in macchina, sul treno, in nave, insomma sopra qualunque cosa che sia in “movimento”, per coerenza almeno.


    “Sonderangebot” sta lì solo per fare rumore, uno scherzo aritmico.


     “Weissensee” si dipana invece grazie a un chitarrismo manierato, lento, quasi imbambolato, se non fosse per quel vibrare di piatti e per quel tocco di blues, leggero quanto basta a mantenersi in vita.


    A seguire, “Im Gluck” esegue una perfetta, quanto pallida, esplorazione ambientale, svanendo infine tra lo sciabordio dell’acqua contro barche a remi. È il preludio di “Lieber Honig”, la traccia con la quale termina quest’orgia di suoni, e la più psicoanalitica del lotto. Si ascoltano dei vagiti che potrebbero solo appartenere a un Dinger adolescente, per lo più afono, di sicuro del tutto casuale. Conclude sfumando ancora in mezzo al mare, ma questa volta si va più a fondo, e chissà dove.


    Tra questi acquitrini musicali, spicca “Negativland”, dove all’opposto si sente tutto il peso e la forza degli strumenti “industriali” che si diceva in precedenza. Qui il martello pneumatico è reale, ed è in verità il pretesto per sfoggiare un tribalismo heavy metal rigoroso, ipnotico, incalzante.


    Un’esperienza significativa, di certo tra le più significative di tutta la musica rock.


    Edizioni:
    Anche qui caschiamo bene. Il cd etichetta “Germanofon” del 1994 ha un dr da primato: 16, 14, 14, 16, 14, 16. Sopperisce in toto al vinile first press “Brain” del 1972.
     
     
    Al prossimo appuntamento  Ogni maledetto venerdì 939343


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    Messaggio Da Ivanhoe Sab Ott 30 2021, 19:34

    Molto belli  applausi
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    Messaggio Da r.spiga Sab Ott 30 2021, 20:55

    ...grazie...
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    Messaggio Da mantraone Sab Ott 30 2021, 22:27

    Seguo, ho apprezzato tantissimo!!!


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    Messaggio Da Pinve Lun Nov 01 2021, 10:19

    ...bello, la contestualizzazione della musica la rende più viva ed interessante.
    Non li ho mai sentiti, ma certo troverò un modo per...(tidal).


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    Messaggio Da taniflex Lun Nov 01 2021, 10:31

    Bella idea applausi


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    Messaggio Da giaiant Lun Nov 01 2021, 10:51

    non aver mai ascoltato questi due dischi per un'amante di musica equivale ad aprire un libro e cominciare a leggerlo dalle ultime pagine.Ogni maledetto venerdì Flenne11


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    Messaggio Da Ospite Lun Nov 01 2021, 11:19

    Complimenti @Avian un bel leggere.

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    Messaggio Da @mau Lun Nov 01 2021, 11:26

    applausi Nuove frontiere applausi


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    Messaggio Da Pinve Mar Nov 02 2021, 19:36

    giaiant ha scritto:non aver mai ascoltato questi due dischi per un'amante di musica equivale ad aprire un libro e cominciare a leggerlo dalle ultime pagine.Ogni maledetto venerdì Flenne11
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    Messaggio Da Ivanhoe Mar Nov 02 2021, 20:12

    Pinve ha scritto:...bello, la contestualizzazione della musica la rende più viva ed interessante.
    Non li ho mai sentiti, ma certo troverò un modo per...(tidal).
    Per chi non ha Tidal, sono anche su Spotify.
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    Messaggio Da Camelia Gio Nov 04 2021, 15:52

    Salve Gazebini sunny

    Ho creato un file PDF dove ho impaginato lo scritto di Avian se qualcuno avesse piacere a scaricarlo (ZIP dal mio "onedrive") per conservarlo.... lo trovate a questo link:

    https://1drv.ms/u/s!AibF6X8c07vggRTdAcfc3TFMpI5Y


    Fatemi sapere......... Questo tipo di file vi interessa e desiderate che continui a farli???.... Ogni maledetto venerdì 98542 Ogni maledetto venerdì 285880



    @Avian Mi concedi il permesso di impaginare il tuo lavoro??..... in caso, se c'è interesse il link potrebbe essere aggiunto alla fine dei tuoi post Ogni maledetto venerdì 285880


    Grazie dell'attenzione   sunny


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    Messaggio Da Avian Gio Nov 04 2021, 17:25

    Troppo buona Camelia. Certo, puoi impaginare. Però non so se la rubrica avrà successo o meno, o quanto potrà durare. Si vedrà.
    Intanto è già passata una settimana e domani dovrò pensare cosa scrivere, e soprattutto su chi  santa


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    Messaggio Da phaeton Gio Nov 04 2021, 18:37

    ho dimenticato di farti i complimenti per il lavoro erg ma l'ho letto tutto d'un fiato, interessantissimo applausi

    congrats and keep going
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    Messaggio Da Avian Ven Nov 05 2021, 19:29

    Ogni maledetto venerdì Cover



    Djam Karet – Reflections From The Firepool (HC, 1989)


    Siamo nella Los Angeles del 1984 e Gayle Ellett (chitarra, tastiere), Mike Henderson (chitarra), Chuck Oken (batteria) insieme a Henry Osborne (basso) decidono di formare, sotto il sole californiano, un gruppo dal “progressive” saturo di effetti elettronici e psichedelici. La derivazione è quella fusion, jazz-rock, scandita pertanto dall’improvvisazione, ma ciò non spiega ancora il quadro generale. I primi esercizi li troviamo in due cassette: “No Commercial Potential” (HC, 1985), con tre jam dalla psichedelia in crescendo e addensanti “southern rock”; “The Ritual Continues” (HC, 1987), un collage fatto di dissonanze, di chitarrismi distorti e di ogni altro trick presente nel linguaggio progressivo anni ’80, che prende a piene mani da quanto fatto nel decennio precedente dai vari Pink Floyd, King Crimson, Genesis, Yes e dalla scuola di Canterbury. Non manca poi la matrice etnica, già rintracciabile nel nome della band: una parola indonesiana che dovrebbe significare “elastic time”.


    L’album in oggetto è il primo prodotto in un vero studio di registrazione. È inoltre la prima pubblicazione su cd. L’armamentario in questo caso è ben nutrito, in misura oltretutto maggiore rispetto ai lavori passati. Basti pensare all’aggiunta del sequencer che, unito alla fitta schiera di strumenti non acustici e ai deliri della chitarra, riesce a creare figure armoniche complesse, solenni.  


    C’è qui l’improvvisazione degli esordi? Non credo. Non del tutto almeno. In “Reflections” il jamming è pesato, studiato, ma allo stesso tempo sciolto: fluisce in uno spazio creato dalle tastiere e quando comincia “The Red Monk”, ad esempio, tutta quell’ouverture crepuscolare di “Animal Origin”, a braccetto con “All Doors Look Alike”, viene di colpo sbranata dagli assoli della chitarra di Henderson, in perfetto equilibrio.


    L’ordine delle tracce è il seguente:
    1. The Sky Opens Twice
    2. Fall Of The Monkeywalk
    3. Run Cerberus Run
    4. Scenes From The Electric Circus
    5. Animal Origin
    6. All Doors Look Alike
    7. The Red Monk
    8. Reflections From The Firepool


    Andando nel dettaglio, i riff celestiali di “Barrett-iana” memoria li troviamo quasi subito, a metà di “The Sky Opens Twice”. Fanno parte di una languida elaborazione atmosferica, alla Tangerine Dream, per dirla tutta, e si accompagnano a un raga-rock riempitivo, di stampo “Crimson-iano”.


    La tribale “Fall Of The Monkeywalk”, con la sua stola di percussioni rincorse dall’urlo continuo della chitarra elettrica, mette in scena un rituale guerrigliero, prettamente cinematografico, da “pianeta delle scimmie”. Gli assoli si fanno adorare fino all’ultimo.


    Anche in “Run Cerberus Run” il drumming è costante. Il tutto si gioca, almeno nei minuti iniziali, tra basso e organo: un flash-rock alla Yes stavolta, che dal frenetico passa, nel giro di pochi accordi, al sincopato.


    Le chitarre non danno tregua. Tornano immediatamente protagoniste nella successiva “Scenes From The Electric Circus”. Le armonie qui sono davvero articolate, complice il materiale elettrico utilizzato, che dà i brividi. Sembra di seguire la protagonista di un film di Dario Argento mentre fugge dal suo assassino, in una boscaglia sconosciuta. Questa subdola sensazione non ti abbandona nemmeno in “Animal Origin”, di cui ho già accennato. Ha un incedere pomposo, al contrario di “All Doors Alike” che si lascia invece andare dapprima in un’improvvisazione jingle-jangle, evocata dal sax di Max Mahoney (ospite a sorpresa), e poi si nobilita in una ricostruzione ambient, tra deliziosi accordi di chitarra acustica. Probabilmente il pezzo più originale.


    La title-track ricapitola le fonti utilizzate, armonizzandole, senza smettere affatto di sperimentare: dopo l’acquazzone elettrico, si chiude in bellezza con un tenue flamenco.
    Considerando il precedente episodio di questa rubrica, i Djam Karet davvero rappresentano i discendenti legittimi di quelle anime capiscuola, di cui s’è detto venerdì scorso.


    https://www.djamkaret.com/reflections-from-the-firepool/


    Edizioni:
    Non ci sono riserve sull’edizione Cuneiform Records del 2000, con dr 16, 17, 15, 17, 17, 17, 14, 16, anche se mi manca la first press HC, pertanto non posso fare paragoni.
     
     


    Ogni maledetto venerdì Cover

     
    Djam Karet – Burning The Hard City (HC, 1991)


    Trovo opportuno riprendere il filo del discorso con “Burning The Hard City”, sempre dei Djam Karet. È l’esempio di come la vocazione di certi artisti verso la sperimentazione a volte possa lasciare il passo a iniziative meno complesse, al riff più puro, per alcuni solo ripetitivo. Fu un album divisivo per i fan dell’epoca. Molti lamentavano la mancanza di quella particolare “direzione”, che sempre aveva contraddistinto la band. Eppure io trovo che sia l’album, in un certo senso, più “divertente” dei Djam Karet, a patto che abbiate una sana attrazione verso gli assoli che s’impennano.


    Cambia la prospettiva, o meglio, viene frazionata. Se “Reflections” portava con sé le impronte di più generi, qui il lavoro si semplifica. La fenditura si completa con l’altro album “gemello (diverso)” uscito sempre nel 1991: “Suspension & Displacement” (HC). Mentre quest’ultimo contiene (e mantiene) lo spirito prettamente new-age, da acquarello cosmico, che ben conosciamo, “Burning The Hard City” è concepito invece per dare sfogo alle distorsioni più bestiali dell’heavy-metal, liberatorie quanto un fulmine che si schianta al suolo.


    Di fatto è il loro lato più rock.


    Le tracce:
    1. At The Mountains Of Madness
    2. Province 19: The Visage Of War
    3. Feast Of Ashes
    4. Topanga Safari
    5. Grooming The Psychosis
    6. Ten Days To The Stand
    7. Burning The Hard City


    La chitarra fuma quanto quella degli MC5, con buone variazioni sul tema: a volte è battagliera, prog-metal, come in “Province 19”, altre volte è invece modulata, blues, come nella title-track.


    Oken e Osborne, a mio avviso, sono più uniti che mai. La sezione ritmica riesce a infondere quell’extra tempestoso, ben edulcorato dalle due chitarre. Il fattore jazz non è del tutto sparito, è solo che lascia spesso il posto al funky, a luoghi più etnici (“Topanga Safari”). Fino all’ultimo, il climax orchestrato non perde colpi e bisogna arrivare almeno a “Grooming The Psychosis” per ritornare a quel modello “Yes” di cui si diceva in “Reflections”.


    La narrazione dei Djam Karet cambia così decisamente tono. Se questo sia più efficace non so dirlo. A me entusiasma assai.


    https://www.djamkaret.com/burning-the-hard-city/


    Edizioni:

    L’edizione sempre Cuneiform Records del 2000, nonostante presenti un ottimo dr 13, 14, 16, 12, 15, 14, 13 ha uno spettro “peggiore” rispetto alla first press HC del ’91, con volume più alto. Un dettaglio che non inficia la piacevolezza d’ascolto, ma ne risente, di poco, l’ampiezza del palcoscenico.


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    E mi ricordo, tra l'altre, che nella Biblioteca Ambrosiana, datomi in mano dal bibliotecario non so più quale manoscritto autografo del Petrarca, da vero barbaro Allobrogo, lo buttai là, dicendo che non me n'importava nulla.
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    Messaggio Da phaeton Ven Nov 05 2021, 21:29

    cavolo, l'altra volta almeno i Tangerine li conoscevo, questi Djam Karet non li ho proprio mai sentiti santa

    dalla (ottima applausi ) descrizione sembrano molto interessanti (cavolo... psichedelia, progressive, prog metal, southern rock, jazz... hai usato tutte le keyword che in genere mi fanno scattare la scimmia), cerchero' di procurarmi qlcsa sunny
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    Messaggio Da Avian Ven Nov 05 2021, 22:09

    Su bandcamp ci sono  Ogni maledetto venerdì 625723


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    Messaggio Da phaeton Ven Nov 05 2021, 22:13

    sto ascoltando reflections proprio ora, notevole sunny

      La data/ora di oggi è Dom Apr 28 2024, 02:00